lunedì 9 marzo 2009

Scarti d’autore scrutano cultura e società in Italia (www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 19, marzo 2009)

Da Solfanelli pungenti articoli, riflessioni, suggestioni sull’intellettuale e la sua evoluzione a confronto con i tempi e le mode di ieri e di oggi


«Leggere o scrivere? Questo è il problema», avrebbe detto Amleto, se qualcuno gli avesse sottoposto la questione culturale italiana. È noto a tutti come il Belpaese sia agli ultimi posti per la lettura, in Europa. A questo drammatico primato si accompagna, ciò nonostante, un paradosso tutto nostro: sebbene vi siano pochi lettori, gli scrittori non mancano e sembrano crescere in maniera esponenziale. Viene da pensare che, se c’è l’offerta, ci sarà pur stata una qualche domanda che ha orientato il mercato, ma il punto è: «Che tipo di domanda?». Dal diario delle veline, all’autobiografia del calciatore, fino a considerare le inquisizioni editoriali delle varie caste e sottocaste, sono solo queste le tendenze “intellettuali” che promuovono la formazione dei nostri connazionali? Queste riflessioni banali, in verità, perché alla portata di tutti, ci sono state suggerite dall’incontro con il recente testo di Franco Ferrarotti, Fondi di bottiglia (Solfanelli, pp.112, € 10,00), che raccoglie personali valutazioni sulla nostra cultura e non solo, sotto la lente d’ingrandimento delle scienze sociali, il suo punto di vista privilegiato. L’autore, infatti, è stato il primo docente in Italia, titolare di una cattedra di Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma. Il breve saggio è composto da una raccolta di articoli risalenti al biennio 1983-85, apparsi sul quotidiano Il Tempo, nei quali emerge un unico filo critico di fondo all’intellettualismo dell’epoca; interventi preziosi che permettono una ricostruzione seppur timida (perché trattata con un piglio giornalistico) del passaggio non indolore da una cultura elitaria a quella di massa. Segue poi una seconda parte composta da «cattivi pensieri», come li chiama lo stesso autore, aforismi incisivi e limpidi, carichi di pungente ironia che si riferiscono a questi ultimi anni e in Appendice (non paratestuale) alcuni interventi su Pasolini e una sua risposta ai critici di Mosca.


Il significato del titolo

Lo stesso professore prova a spiegare il titolo dato alla sua pubblicazione, riflesso di sue suggestioni personali, che nessuno può mediare al lettore con facilità e chiarezza fuorché lui medesimo: «Quando la bottiglia è vuota, se il vino è buono, sul fondo resta un sedimento […] al termine di un libro o un saggio ci si ritrova ad annaspare tra i flutti di una marea di capitoletti, prefazioni, postfazioni, appendici o paragrafi che non esiterei a chiamare scarti di produzione. Fondi di bottiglia, appunto. Frutti, se non esotici alquanto rari». È evidente come gli articoli raccolti siano l’esito di letture che lo hanno sollecitato a considerazioni a latere del problema posto in essere. È il caso dell’articolo che ha per titolo La croce e il mitra, apparso il 20 maggio 1985, che racconta la vicenda dell’allora vescovo di Palermo, monsignore Pappalardo, che nella settimana di Pasqua non ha potuto «dir messa all’Ucciardone, perché i boss che comandano in quella prigione hanno ordinato il boicottaggio». La notizia è stata messa in giro dagli stessi capi mafiosi, che hanno voluto far risaltare la profonda solitudine della curia nel cortile, preparata per la cerimonia liturgica. Ciò probabilmente come risposta alle dure parole della sua omelia ai riti funebri del generale Dalla Chiesa, Ferrarotti la chiama «una scomunica rovesciata». L’autore lega questo singolare fatto di cronaca con delle considerazioni suscitategli da un suo libro recensito, L’Università di Rebibbia del 1983, di Rizzoli, per esaminare con sagacia uno spaccato sia culturale che sociale di quegli anni. Altro esempio qualificante, che risalta tra i suoi interventi, è la questione del “libro-prodotto” come bene di consumo, nell’articolo Parlando di Best seller, del 25 novembre 1983: «Mi domando se fra best seller e long seller non si dia un rapporto dialettico e non si debba pagare in notorietà delle alte tirature e del successo immediato con la rinuncia alla gloria». Puntuale qui arriva il rammarico dell’autore, che si è definito come uno strenuo lettore, prima che uno scrittore, per la condizione economica che detta legge sul gusto editoriale, facendo emergere prodotti di scarsa qualità, solo per profitto. L’autore rileva che la diffusione fulminea di certi libri confermano «l’esistente e non anticipano il gusto o esigenze non ancora chiare» dei lettori. La conclusione è che «prevale nettamente la cultura come apparato amministrativo sulla cultura come maturazione interiore». Non manca una critica sferzante poi ad alcuni giornalisti in auge, compiacenti di questa situazione, perché anche scrittori. Senza dubbio le sue riflessioni si dimostrano davvero attuali, per certi nostri cronisti di oggi, molti semisconosciuti, che ricevono notorietà con i loro libri, non sempre di qualità. Non manca neppure il tema del difficile rapporto tra editore e autore nell’articolo A caccia di Best sellers, del 2 novembre 1984, dove sostiene che, non senza una punta d’ironia, l’autore italiano ha un’immagine di se stesso come il genio ispirato che scrive per l’eternità, ma che deve fare i conti con una riflessione di Montaigne, il quale dice «che il libro è pur sempre una lettera aperta all’autore sconosciuto. E questa lettera, ha un suo postino non sempre alacre come gli autori lo vorrebbero, che è l’editore». Lega la sua riflessione con le suggestioni di un testo che racconta le vicende autore versus editore della vicina Francia. Molti altri articoli hanno toni simili e più d’uno affronta la questione della Filosofia come scienza umana che si rinnova con nuovi temi contemporanei, che offre alla comunità scientifica. In particolare quella tedesca è sempre legata a pubblicazioni del tempo, come alcuni scritti di Marcuse o Habermas, tutti oramai classici, che oggi sono dei saggi da cui uno storico delle idee non può prescindere.


Il nuovo intellettuale

L’ampio respiro dei temi toccati ha, nella riflessione di Ferrarotti, l’obbiettivo di puntualizzare il profilo del nuovo intellettuale che culmina con un articolo, a prima vista fuori dal contesto, pienamente inserito se ponderato con calma. Si tratta dell’articolo Passeggiare per la via di Roma non è una gioia innocente, del 6 dicembre 1985, che si occupa dell’allora invivibile spazio urbano e riporta: «Roma ha l’aria certi pomeriggi di un garage abbandonato in tutta fretta […] parcheggiano dovunque, sui marciapiedi, davanti ai portoni, sulle aiuole, a sghembo, a spine, in fila indiana o doppia o tripla, a piacere». Il pedone, secondo Ferrarotti, è una specie in via d’estinzione. Rimpiange il periodo dei boulevards a Parigi, alla maniera di Benjamin, oggi filosofo fondamentale per ogni studente, morto durante la Seconda guerra mondiale; non che Roma possa diventare come Parigi, un teatro a cielo aperto; l’autore si contenterebbe di «bighellonare per piazza Navona come Stendhal o dalle parti del Phanteon, senza la paura di venire arrotolato da un motociclista impazzito». Il contesto è quello degli anni Ottanta, quando ancora non c’era la cultura tutta moderna delle isole pedonali, ma che rivela una tendenza sociale, per niente a misura d’uomo e aggiungerei di monumento; sì, perché anche le opere d’arte hanno diritto a un’aria pulita, a respirare l’affetto dei turisti, poiché, come esemplarmente l’autore riferisce di uno spirito della vita scomparso con gli anni, legando le sue sensazioni personali al libro da presentare, Vita di poeta del 1985, nello stesso tempo manifesta un disagio collettivo che lo fa ammalare di profonda malinconia, e noi con lui. Tale malessere produce un parametro dissimile da quello della sua gioventù, nella codificazione della cultura. Ferrarotti lo capiamo, basti pensare che, il grande Aristotele ha dettato gran parte delle sue opere passeggiando... La dimensione sociale indubbiamente è spesso intersecata con quella intellettuale, senza mezzi termini, gli stessi che propone l’autore con tanta arguzia.


«Cattivi pensieri»

La seconda parte è divertente quanto brillante nella composizione dello stile. Riproponiamo solo due aforismi che rivelano l’acume schietto dell’insigne professore e la sua capacità di leggere nelle maglie della storia senza far pesare il suo giudizio sociologico da studioso.

«Ritardi storici. Non si può dire come gli americani abbiano sempre fretta. Nell’agosto del 2002 hanno conferito la cittadinanza americana al marchese La Fayette, che a diciannove anni era andato in America a combattere con George Washington contro gli inglesi. Correva l’anno 1777».

«Il carisma delle immondizie. Nel 2008 i rifiuti a Napoli […] reclamano l’avvento del capo carismatico, che tiene la prima riunione del Consiglio dei Ministri nella capitale partenopea. Forse il vecchio Gianbattista Vico, carico di figli e di miseria non aveva tutti i torti. Come i giganti, anche il carisma nasce e fiorisce tra gli escrementi».


di Marika Guido

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