mercoledì 3 dicembre 2008

RECENSIONE di Antonella Santarelli (Mediterraneo for Peace)

Di fronte al testo di un padre della sociologia non si può non avere quel pizzico di timore che magari è del tutto assente quando si commentano fatiche letterarie di altri autori, più o meni noti.
Non è stato facile comprendere l’innesto dei pensieri di Ferrarotti, risalenti agli anni ottanta, con l’humus socioculturale del periodo. Eppure, dopo alcune necessarie riletture, tutto diventa molto chiaro e oltremodo interessante: le spigolature, i brevi commenti, come graffiti, generano un mare di riflessioni, soprattutto se si tenta inevitabilmente il raffronto con quanto, nel frattempo, è avvenuto nei decenni a seguire. E allora, appare illuminata l’intuizione del sociologo nei confronti della narrativa: per Ferrarotti, la narrativa del futuro sarebbe stata necessariamente multidialogica, aperta a stili diversi e a molteplici contaminazioni. Necessariamente, perché nessuno si sarebbe più sentito di esprimere un giudizio complessivo sulla società, come invece era successo nelle epoche precedenti. Penso che la maggior parte dei letterati e degli autori abbia, anche ora, un viscerale timore di esprimere giudizi: i più preferiscono rifugiarsi in vuoti e rassicuranti esercizi di stile, magari confidando in successi di nicchia più o meno possibili, piuttosto che impegnarsi nell’ars interpretandi, poco consona al conformismo e al vuoto disumano imperante. Anche sul futuro dei libri, Ferrarrotti sembra avere visto giusto: il mercato dell’editoria, tranne in poche e coraggiose eccezioni, è governato ferocemente dalle leggi di un’industria culturale che asseconda le sirene e le mode del momento. E così, il libro di successo - a mio avviso, rigorosamente da evitare nell’acquisto e nella lettura - è un’ulteriore esemplificazione della totale rinuncia alla cultura che preconizza, che rompe gli schemi, che anticipa, che interpreta il cambiamento prossimo a manifestarsi. Ta le tante considerazioni espresse, una in particolar modo mi ha colpita e sorpresa: la riflessione su Pier Paolo Pasolini, con l’iniziale descrizione del contesto territoriale, la Roma delle borgate, già non più esistente nel momento in cui Pasolini la descrive nelle sue opere. Esecrazione del nuovo e nostalgia di una realtà sociale dai contorni netti e chiari: Pasolini esprime il suo rifiuto verso gli effetti manifesti ed evidenti del livellamento nelle condizioni di vita delle fasce sociali medio- basse. Si manifestava ormai la mobilità sociale verso l’alto: di lì a poco, anche un vecchio e farraginoso sistema politico e parlamentare se ne sarebbe accorto procreando un insieme di leggi destinato a segnare indelebilmente i decenni seguenti. Pasolini sembrava non gioirne: rimpiangeva l’Italia rurale, dalla cultura localistica e non scossa dalla violenza dei fenomeni riconducili alle fasi di anomia.
Il suo sguardo andava, forse, molto oltre il futuro immediato?

Antonella Santarelli

http://forummediterraneoforpeace.it.forumfree.net/?t=34745888&view=getlastpost#lastpost

Nessun commento: